La visione di Trump per la Palestina: No ai palestinesi (rt.com)

Il presidente degli Stati Uniti ha dato il via al suo nuovo mandato con un’altra “iniziativa di pace” che in realtà è solo un regalo per Israele

Ancora una volta, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si è addentrato nella questione palestinese, proponendo soluzioni radicali da una posizione fermamente filo-israeliana. L’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas, entrato in vigore il 19 gennaio, durerà 42 giorni, durante i quali entrambe le parti si sono impegnate a negoziare ulteriori passi verso una risoluzione. Tuttavia, il presidente degli Stati Uniti ha espresso scetticismo sulla sua longevità, sottolineando l’entità della distruzione a Gaza.

Secondo Trump, Gaza è stata così devastata che ha bisogno di essere ricostruita in un modo completamente diverso. Ha suggerito che le nazioni arabe come l’Egitto e la Giordania dovrebbero accogliere più rifugiati palestinesi per aiutare a portare ordine nella regione. Durante le discussioni con il re di Giordania Abdullah II, Trump ha espresso il suo desiderio che il regno accolga più persone, descrivendo la situazione a Gaza come “un disastro completo”. Intende anche sollevare la questione con il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi.

Trump vede il trasferimento dei residenti di Gaza nei paesi arabi come una soluzione temporanea o addirittura a lungo termine. Crede che potrebbe offrire ai palestinesi un “nuovo inizio” e contribuire alla stabilità regionale. Tuttavia, fonti ufficiali giordane, nel commentare la sua dichiarazione, non hanno menzionato la questione dei rifugiati – un’omissione che riflette l’accoglienza delle proposte di Trump nel mondo arabo.

Secondo i dati delle Nazioni Unite, la Giordania ospita già più di 2,39 milioni di rifugiati palestinesi, mentre il numero totale in tutto il mondo è di circa 5,9 milioni. La prospettiva di un ulteriore trasferimento solleva serie preoccupazioni all’interno della comunità internazionale, così come tra gli Stati arabi, che hanno tradizionalmente sostenuto la risoluzione del conflitto attraverso la creazione di uno Stato palestinese indipendente. Ciononostante, Trump, aderendo alla sua posizione filo-israeliana, continua a spingere per la sua visione di un accordo, che potrebbe rimodellare drasticamente il panorama geopolitico del Medio Oriente.

Inoltre, Trump ha criticato l’approccio dell’amministrazione dell’ex presidente degli Stati Uniti Joe Biden, sostenendo che la mancanza di una strategia chiara ha portato a un’ulteriore escalation del conflitto. Ha affermato che durante il suo precedente mandato, gli Stati Uniti hanno mantenuto una posizione più dura contro i movimenti palestinesi, che, a suo avviso, hanno tenuto la situazione sotto controllo. Trump ha anche ricordato la sua decisione di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele e di trasferirvi l’ambasciata degli Stati Uniti, un’azione che ha provocato una forte reazione da parte del mondo arabo, ma è stata accolta calorosamente dal governo israeliano.

Inoltre, il presidente ha osservato che un potenziale reinsediamento dei palestinesi potrebbe essere effettuato con il sostegno internazionale, compreso il sostegno finanziario degli Stati Uniti e dei suoi alleati. Tuttavia, questa idea ha già incontrato la resistenza di diverse nazioni preoccupate per gli effetti destabilizzanti della migrazione di massa e l’onere economico sui paesi ospitanti.

Così, la posizione di Trump sulla questione palestinese rimane estremamente rigida e prevalentemente focalizzata sugli interessi di Israele. Piuttosto che sostenere la creazione di uno Stato palestinese indipendente, egli immagina un drastico cambiamento demografico nella regione, un approccio che ha suscitato un intenso dibattito all’interno della comunità internazionale e tra i leader arabi.

“L’accordo del secolo” – Il primo tentativo fallito di Trump

Nel gennaio 2020, durante il suo primo mandato presidenziale, Trump ha svelato il suo ambizioso piano per risolvere uno dei conflitti più lunghi e complessi dei tempi moderni: la disputa israelo-palestinese. Soprannominato “l’accordo del secolo dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, è stato presentato come un’opportunità senza precedenti per raggiungere la pace e la stabilità nella regione. Ufficialmente chiamato “Pace per la prosperità”, il piano faceva parte del più ampio sforzo di Trump per ridefinire la tradizionale diplomazia mediorientale. L’inaugurazione ha avuto luogo in una grande cerimonia alla Casa Bianca e ha visto la partecipazione di Netanyahu. La leadership palestinese non è stata nemmeno invitata alla discussione, un’omissione che ha immediatamente suscitato critiche, poiché nessun accordo di pace può avere successo senza la partecipazione di entrambe le parti.

 

Secondo i termini del piano, a Israele sono stati concessi significativi vantaggi strategici e territoriali. Gerusalemme è stata ufficialmente riconosciuta come “capitale indivisa ed eterna” di Israele, contraddicendo i precedenti accordi internazionali e opponendosi direttamente alle pretese palestinesi su Gerusalemme Est come capitale del loro futuro stato. Mentre la proposta nominalmente offriva alla Palestina uno stato, era accompagnata da severe restrizioni alla sua sovranità. Lo stato palestinese immaginato doveva essere smilitarizzato, senza alcun controllo sui suoi confini o sullo spazio aereo, e ampie porzioni della Cisgiordania sarebbero rimaste sotto il controllo israeliano. In cambio, ai palestinesi è stata offerta la terra nel deserto del Negev, una regione arida e in gran parte inabitabile con scarso potenziale per l’agricoltura o lo sviluppo. Il piano prometteva anche un investimento di 50 miliardi di dollari nell’economia palestinese, destinato a potenziare le infrastrutture, le imprese e i programmi sociali come compensazione per le perdite territoriali.

La risposta alla proposta era prevedibile. Israele lo ha accolto con entusiasmo, con Netanyahu che lo ha definito un passo storico verso la sicurezza e la prosperità. Tuttavia, i palestinesi lo considerarono a dir poco un atto di resa e lo rifiutarono categoricamente. Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha condannato il piano, dichiarando che l'”accordo del secolo” non era una proposta di pace, ma una capitolazione imposta che non ha tenuto conto dei diritti del popolo palestinese. Ha insistito sul fatto che i palestinesi non avrebbero mai accettato le condizioni dettate unilateralmente dagli Stati Uniti e da Israele. Subito dopo l’annuncio, le tensioni nella regione si sono intensificate, con proteste di massa scoppiate in tutti i territori palestinesi e diversi gruppi militanti che hanno promesso ritorsioni.

 

La risposta internazionale al piano è stata profondamente divisa. L’UE ha messo in dubbio la sua fattibilità, affermando che contraddice le precedenti iniziative di pace e le risoluzioni delle Nazioni Unite a sostegno di una soluzione a due Stati. L’ONU ha ribadito che qualsiasi negoziato di pace deve comportare il pieno consenso di entrambe le parti piuttosto che essere imposto dall’esterno. Tuttavia, alcune nazioni del Golfo, tra cui gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein, hanno accolto con cautela l’iniziativa come un primo segno dei cambiamenti diplomatici che in seguito hanno portato alla normalizzazione delle relazioni tra questi stati e Israele.

Nonostante i grandi proclami e il sostegno israeliano, “l’accordo del secolo” alla fine è rimasto irrealizzato. La leadership palestinese si è rifiutata di impegnarsi e la crescente pressione internazionale ha reso impossibile l’attuazione. Tuttavia, la semplice esistenza del piano ha lasciato un impatto duraturo sulla politica mediorientale. Ha accelerato la trasformazione delle alleanze regionali e ha aiutato Israele a rafforzare la sua posizione globale. Alla fine, una proposta intesa a portare la pace ha solo sottolineato la profondità delle divisioni e le formidabili sfide per risolvere un conflitto che è rimasto per decenni una delle questioni più difficili da affrontare nella politica globale.

Qual è il vero messaggio che sta dietro a queste iniziative?

Le iniziative di Trump rivelano che i suoi sforzi per affrontare la questione palestinese non sono mai stati volti a trovare una soluzione equa o equilibrata per tutte le parti. Invece, le sue politiche erano incentrate sul rafforzamento della posizione di Israele e sulla creazione di una solida alleanza tra lo Stato ebraico e i principali alleati degli Stati Uniti in Medio Oriente. Al centro di questa strategia c’erano gli Accordi di Abramo, mediati dall’amministrazione Trump nel 2020. Questi accordi sono stati salutati come una svolta storica nella diplomazia mediorientale, che ha portato alla normalizzazione delle relazioni tra Israele e diverse nazioni arabe, tra cui Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco e Sudan. Gli Stati Uniti hanno promosso questi accordi come un passo verso la pace e la stabilità, ma in realtà servivano a tre principali obiettivi strategici: legittimare Israele nella regione rompendo il suo isolamento diplomatico, costruire un blocco anti-Iran allineando gli stati arabi filo-americani con Israele e ridurre al minimo i costi militari degli Stati Uniti incoraggiando gli alleati regionali ad assumersi maggiori responsabilità in materia di sicurezza.

Tuttavia, il più grande difetto degli Accordi di Abramo è stato il loro completo disprezzo per la questione palestinese. I palestinesi sono stati lasciati dalla parte dei perdenti, poiché la normalizzazione di Israele con gli stati arabi è avvenuta senza soddisfare la richiesta di lunga data di uno stato palestinese. Ciò ha segnalato che, per molti governi arabi, la causa palestinese non era più una priorità, anche se tra l’opinione pubblica il sostegno alla Palestina rimaneva forte. Una delle ambizioni chiave di Trump era quella di portare l’Arabia Saudita negli accordi, dato il suo status di nazione araba più influente e alleato di lunga data degli Stati Uniti. Mentre Riyadh ha mantenuto legami informali con Israele, si è rifiutata di firmare ufficialmente gli accordi, insistendo sul fatto che la normalizzazione potrebbe avvenire solo una volta risolta la questione palestinese. In risposta, l’amministrazione Trump ha tentato di attirare l’Arabia Saudita con garanzie di sicurezza e armi statunitensi avanzate, compresi i caccia F-35.

La visione più ampia di Trump era quella di stabilire un equivalente mediorientale della NATO, un’alleanza regionale guidata dagli Stati Uniti che avrebbe ridotto la spesa militare di Washington integrando la tecnologia militare israeliana nelle strategie di difesa degli stati arabi. Tuttavia, nonostante i crescenti legami tra Arabia Saudita e Israele, il riconoscimento ufficiale non si è mai concretizzato a causa di barriere politiche e ideologiche profondamente radicate. A livello governativo, le nazioni che hanno firmato gli accordi hanno giustificato la loro decisione con interessi economici e strategici. Tuttavia, l’opinione pubblica si è rivelata molto più complessa, poiché la piazza araba è rimasta in gran parte solidale con i palestinesi e in gran parte contraria a una cooperazione aperta con Israele. La questione palestinese continua ad avere un peso emotivo e politico significativo nel mondo arabo, nonostante i tentativi di alcuni governi di minimizzarne l’importanza.

 

Le politiche di Trump hanno affrontato diverse sfide fondamentali. In primo luogo, ignorare la questione palestinese ha solo alimentato il risentimento e la radicalizzazione in tutto il mondo arabo. In secondo luogo, qualsiasi spostamento improvviso verso Israele rischiava di innescare proteste di massa all’interno delle nazioni arabe, minacciando la stabilità dei regimi al potere. In terzo luogo, la questione di Gerusalemme è rimasta un argomento esplosivo per i musulmani di tutto il mondo, dato il suo status di terzo luogo più sacro dell’Islam. Infine, il rafforzamento di Israele e dei suoi alleati filo-americani rischia di rafforzare ulteriormente l’Iran e la sua rete di partner regionali, aumentando le tensioni e potenzialmente portando a nuovi conflitti.

Trump rimane il presidente più filo-israeliano della storia americana, allineandosi con l’agenda israeliana di estrema destra, in particolare con quella di Netanyahu. Non si limitò a sostenere Israele, ma permise attivamente le sue ambizioni espansionistiche, legittimando l’annessione delle alture del Golan, riconoscendo Gerusalemme come capitale di Israele e proponendo un piano di pace che favoriva in modo schiacciante gli interessi israeliani, minando la sovranità palestinese. La debolezza principale del suo approccio era la sua dipendenza dagli incentivi finanziari piuttosto che da una significativa riconciliazione diplomatica. Ha ipotizzato che le nazioni arabe potessero essere indotte ad accettare il dominio israeliano attraverso investimenti economici e accordi commerciali. Tuttavia, mentre le élite arabe possono essere pragmatiche, il mondo arabo-musulmano in generale non è disposto ad abbandonare la causa palestinese in cambio di soli benefici economici.

In definitiva, la strategia di Trump per risolvere la questione palestinese è consistita nel rimuoverla dall’agenda globale, sostituendola con accordi diplomatici di cui hanno beneficiato principalmente Israele e i suoi alleati. Tuttavia, questo non ha risolto le cause profonde del conflitto, ma ha semplicemente messo in luce la natura miope della visione strategica di Washington. Mentre gli Stati Uniti sperano di creare una NATO mediorientale che garantisca i loro interessi, la sostenibilità a lungo termine di questo progetto rimane incerta. Le tensioni nella regione rimangono alte e la questione palestinese rimane una bomba a orologeria, che inevitabilmente riemergerà e richiederà ancora una volta l’attenzione del mondo.

 

COMMENTO

Credo che a questo punto si possa sciogliere la riserva nel giudizio di questo personaggio dal nome di “Trump”: è totalmente lanciato nella parte dell’imbecille.

Con la tipica modestia dei sapienti, egli (il Trump) ha definito l’accordo del secolo, ovvero il sistema di far sparire la faccenda palestinese dalla terra. A dire il vero questo è l’accordo del millennio per prima di altri mille anni non troveremo un altro pirla in grado di formulare così tante bestialità.

Ai palestinesi verrebbe assegnato il deserto del Negev, ma a questo punto, più onestamente potevano anche dichiarare eliminarli col fosforo (tanto IDF è molto pratico), almeno Israele mostrava la faccia.

Varrebbe la pena ricordare a questi infami (sionisti e fiancheggiatori USA) che nella tanto ricordata “conferenza di Wannsee” si discusse di spostare e non di eliminare deportando in un deserto. Eppure quella conferenza era organizzata da nazisti, che a rigore dovevano essere i peggiori.

Il Paradiso in Terra non esiste, ma esiste un paese (israele) e della gente  (i sionisti) che cercano di portare qui l’inferno.

Stiano tranquilli: l’avranno.

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